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Galline in fuga - L'alba dei nugget critica il sistema ma si comporta nello stesso modo

Il sequel del film del 2000 non è più un'opera artigianale, ma il prodotto di un grande gruppo pronto per lo sfruttamento intensivo della proprietà intellettuale: proprio quello contro cui si battono i pennuti protagonisti
Galline in fuga  L'alba dei nugget

Sono passati 23 anni anche non sembra. Nella realtà la storia di Galline in fuga arrivava al cinema nel 2000 e ora il suo sequel arriva su Netflix nel 2023. Nella finzione è passato molto meno tempo, il necessario perché Molly, figlia di Gaia e Rocky (i protagonisti della storia che qui ritornano), da pulcino diventi gallina adolescente. Con loro tornano anche tutti gli altri comprimari con un set di doppiatori abbastanza diverso (in originale c’era Mel Gibson a doppiare Rocky, in italiano Christian De Sica ed è solo il primo di una lunga serie di cambiamenti figli dei tempi) e un’etica aggiornata. Insomma è un sequel nello spirito e nominalmente nei personaggi ma non lo è nella pratica. Non ci sono nemmeno Nick Park e Peter Lord che di quel film (e dello studio Aardman) erano le menti e che ora producono e basta, senza nessun ruolo creativo.

A tutti gli effetti si può dire che Galline in fuga - L’alba dei nugget è un altro film con un altro team creativo e un altro cast, che racconta una nuova storia di quei personaggi. Ed è di nuovo una storia di allevamenti. In Galline in fuga il punto era scappare da un allevamento a conduzione familiare, molto tradizionale e contadino, stavolta sarà prima entrare e poi fuggire da un allevamento intensivo altamente tecnologico verso il quale Molly, la figlia dei protagonisti, è scappata pensando fosse un luogo divertente e moderno, una specie di paese dei balocchi, e nel quale invece ha trovato un inferno. Quello che vorremmo trovare noi, come minimo, e quel tipo di umorismo molto intelligente e svelto che colleghiamo di solito alla Aardman e i suoi pupazzetti, e invece troviamo un film ordinario, non brutto né mal concepito, ma l’equivalente di un allevamento intensivo: una produzione fatta in serie uguale a mille altre.

Cambiano i paradigmi ma non il punto di vista, questa è di nuovo una storia di sopravvivenza animale contro l’allevamento che li prepara alla morte, una storia in cui il punto di vita di polli e galline è usato per condannare il concetto stesso di allevamento con il fine della macellazione. Soprattutto è di nuovo una storia di fuga dall’alienazione moderna, che è spesso uno dei temi dei film o dei corti Aardman, e che era una linea di basso costante e presente in Galline in fuga. Qui diventa la melodia principale: i cattivi lavorano in combutta con una catena di ristoranti per rendere più efficiente e brutale il fast food (c’è un macchinario che instupidisce i polli perché così quando sono macellati sono più buoni e li trasforma direttamente in pepite di pollo fritto pronte per essere servite).

Nella Aardman c’è sempre, in una maniera o nell’altra, quella radice della commedia britannica che vede nella marginalità, nelle dimensioni ridotte, nell’essere fieramente provinciale un valore. Le galline lottano per poter vivere in pace nell’isola nella quale hanno creato una specie di società utopistica lontano dagli umani e quindi dal rischio di morte. Hanno creato il loro equivalente del paesino lontano dai tumulti della metropoli, in cui la vita scorre con ritmi quasi contadini e soprattutto con principi collettivisti. Il male è invece lo sfruttamento capitalista dei loro corpi e delle loro vite, l’ottimizzazione che migliora i profitti senza curarsi di cosa questo comporti. Solo che non c’è nessuna autoironia, non c’è quella maniera particolare di stare sul crinale tra aspirazioni di una decrescita felice e presa in giro di questa stessa idea.

L’altro elemento Aardman che Galline in fuga - L’alba dei nugget ripropone è l’azione. I loro film e corti sono sempre stati un tripudio di dinamismo e velocità. Questa volta forse anche troppo, L’alba dei nugget è un concentrato di parodie di scene d’azione che travasa velocemente nella parodia di un film di spionaggio degli anni ‘60, polli e galline si trovano a doversi inventare incursori ed estrattori in una lunga serie di momenti d’azione e tensione che tuttavia sono costruiti così poco e così male da risultare ben poco tesi. E pure l’azione che prima aveva un tono molto personale qui è più generica e segue dettami, mosse, eventi e svolgimenti abbastanza usuali. Quindi noiosi.

Non solo non c’è una grande maestria nel dirigere e mettere in scena questa azione (che invece è esattamente quel che rendeva i film Aardman delle origini così unici, la capacità di padroneggiare l’essenza della grammatica delle scene d’azione) ma è anche così ripetuta e così continua da risultare la norma invece che un apice narrativo. Ne soffre la storia di donne al centro. La gallina Gaia era protagonista già del primo e così la comunità di donne con il gallo scemo a servirle, ma stavolta è ancora di più una questione interna al mondo femminile, una questione di madre, figlia, migliore amica e nemesi atavica, una donna (umana) a cui vengono sottratti i tratti più eminentemente femminili e che viene superata di nuovo da queste galline che invece sono caratterizzate come signore di paese, industriose e piene di buona volontà.

Un finale in cui viene lanciata una specie di squadra di vendicatori delle galline contro gli allevatori umani, pronta per eventuali altri film, fa venire voglia di chiedere alla produzione: “Ma cosa state dicendo?”.