l'analisi

Quanto è difficile conservare la storia dei videogiochi

Quasi il 90% dei titoli usciti fino al 2010 rischia di scomparire per sempre, se i principali attori dell'industria continuano a ignorare il problema della preservazione
Console storia videogiochi

Immaginate se il 90% di film e libri usciti fino al 2010 fosse cancellata senza nessuna possibilità di recupero. Questo è ciò che sta succedendo attualmente nella storia dei videogiochi. Secondo uno studio realizzato lo scorso anno dall’organizzazione Video Game History Foundation (VGHF), l’87% dei titoli usciti fino al 2010 non sarebbe più recuperabile. Con “recuperabile” si intende la possibilità di acquistare una copia fisica o digitale di un determinato gioco sfruttando i normali canali di vendita, senza dunque considerare copie rare possedute da collezionisti o copie pirata scaricabili dal web.

Attualmente dunque solo il 13% dei videogiochi usciti fino al 2010 sarebbe facilmente reperibile; inoltre la Video Game History Foundation analizza ancora più nel dettaglio questi dati, mostrando ad esempio come solo il 4,5% dei titoli per Commodore 64 sia attualmente disponibile, mentre saliamo a solo il 12% per una console più recente e di enorme successo come la PlayStation 2 (ancora oggi la console più venduta della storia). In poche parole, quasi 9 videogiochi classici su 10 non sono più reperibili, una situazione che potrebbe portare in futuro a cancellare la storia del medium videoludico, tanto che tra qualche decina di anni si potrà di certo informarsi su molti titoli classici tramite video e articoli ma, paradossalmente, non sarà più possibile giocarli.

In digitale è peggio

Il mondo dei videogiochi non è fatto solo da best seller. Fatichiamo a immaginare un futuro in cui non sarà possibile giocare in qualche modo all’originale Super Mario o a Tetris, ma il problema riguarda anche tutti quei grandi titoli, magari più di nicchia, che sono stati fondamentali per l’evoluzione del medium videoludico. Un esempio può essere la serie di King’s Field, uno dei primi titoli di From Software che hanno avuto un’importanza fondamentale nella creazione futura di Dark Souls e poi di Elden Ring. Oppure si pensi a quanto abbia influito un Pitfall, uscito in origine nel 1982 per Atari 2600, sul genere platform. Sono tanti i titoli che hanno avuto importanza nella storia dei videogiochi e non sempre si tratta di capolavori senza tempo, ma, anzi, tante volte anche videogiochi con difetti marcati o altri problemi raccontano molto dell’epoca e di come poi certi generi si sono evoluti.

Il videogioco, tra i media d’intrattenimento moderni, è sicuramente il più giovane, se consideriamo a grandi linee la sua nascita con l’arrivo nel 1958 di Tennis for Two, titolo creato principalmente per dimostrare la tecnologia dei computer dell’epoca. Per come lo conosciamo oggi, però, dobbiamo partire dagli anni ’70 inoltrati, con il primo boom avvenuto soprattutto a inizio anni ’80. Al contrario del cinema e dei suoi oltre 100 anni di storia, dunque, sono ancora poche le generazioni nate e cresciute con i videogiochi come forma d’intrattenimento e, forse anche per questo, si fa fatica a vederli come qualcosa di così vecchio da necessitare di essere preservato storicamente.

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Eppure è innegabile che ormai il videogioco abbia una sua storia, che sta diventando sempre più lunga e complessa e che finora solo pochi hanno pensato a conservare per il futuro, come i dati della Video Game History Foundation dimostrano.

Se si pensa che il problema di preservazione riguardi solo l’era in cui esistevano le copie fisiche, ci si sbaglia di grosso. Paradossalmente, con l’arrivo del digitale è ancora più facile perdere interi cataloghi di vecchie console. Un esempio ne è stato la chiusura degli shop di Wii U e 3DS di Nintendo o quelli di PlayStation 3 e Vita di Sony, con migliaia di titoli non più disponibili all’acquisto in un solo istante. La chiusura dello shop di Wii, una delle console più vendute nella storia, ha persino cancellato tutti gli acquisti fatti in digitale, aprendo anche il dibattito sul possesso della copia di un videogioco in digitale, che alla fine è dell’utente soltanto fino a quando le compagnie decidono di tenere aperti i server dei loro store.

Negli ultimi anni poi anche il metodo di pubblicazione di un videogioco è cambiato parecchio. Se un tempo i titoli usciti in forma fisica giungevano al pubblico nella loro versione definitiva, oggi tanti giochi escono con molti problemi risolvibili soltanto tramite le varie patch aggiunte successivamente, senza contare le novità, tra nuove modalità ed espansioni, inserite molto dopo il lancio.

Dunque, in ottica di preservazione storica, bisognerebbe conservare soltanto il gioco nella sua forma definitiva, già scevra di tutti i problemi, o anche la versione iniziale? Chi ha una copia fisica di Cyberpunk 2077, senza l’accesso all’online, rimarrà con la versione piena di bug e altre magagne che sono state poi corrette. Da un punto di vista storico è effettivamente interessante che ci sia la possibilità, in futuro, di analizzare e comprendere gli errori di CD Projekt RED al lancio del titolo, potendo valutare il prima e il dopo delle correzioni, ma senza una prova diretta delle due versioni l’analisi sarebbe di molto impoverita.

CD Projekt Red

Sono poi molti i videogiochi, nati nell’ottica di essere giocati solo online, la cui preservazione è spesso davvero impossibile anche per motivi legati al mantenimento dei costi dei server, specialmente nel caso di titoli che nessuno giocherebbe più. Tra questi vanno ricordati anche i giochi appartenenti alla generazione dei live service, nati soprattutto negli ultimi anni, con titoli che per il loro insuccesso sono morti nel giro di pochi mesi, tanto che ormai sono caduti nell’oblio, non potendo essere giocati da nessuno.

Con l’evoluzione del videogioco, le varie forme che questo assume diventano sempre più difficili da preservare in ottica futura, il problema è che però quasi nessuna delle grandi case protagoniste del settore sembra aver affrontato seriamente il problema, anzi sono le prime a trattarlo come un prodotto da vendere usa e getta.

Prodotto commerciale contro prodotto culturale

Non esiste una soluzione facile al problema della preservazione del videogioco. Molti hanno provato a mettere delle pezze, ad esempio con l’uscita di console dedicate al retrogaming, come il The C64 Mini, il NES e il Super Nintendo Mini, oppure con console in grado di riprodurre le librerie distribuite su cartuccia di tante vecchie console come l’Evercade. Non mancano poi le raccolte di vecchi giochi, ad esempio Sonic Origins, Super Mario 3D All Stars o i tanti titoli presenti su store come GOG. Eppure, nonostante l’impegno di alcuni, sono ancora pochissimi i titoli che è possibile recuperare dal passato, rispetto alla quantità totale.

Ci sono poi casi come quello di GoldenEye 007, importante sparatutto uscito su Nintendo 64 nel 1997, che per anni era rimasto nel limbo, bloccato da questioni legate ai diritti che vedevano coinvolti Nintendo, Microsoft (che aveva acquisito Rare, la software house che aveva sviluppato l’originale) e Metro Goldwin Mayer. Soltanto lo scorso anno si è giunti a un accordo, per cui il gioco è tornato finalmente disponibile in una versione rimasterizzata. Per un titolo così importante che ce la fa, ce ne sono molti altri che invece restano bloccati nel passato.

Come sottolineato dalla VGHF, L’ESA, ossia l’Entertainment Software Association, che rappresenta in America l’industria dei videogiochi, ha ribadito che, nonostante i dati delle ricerche, l’industria fa già molto per preservare la sua storia, e l’eventualità di coinvolgere altre istituzioni e enti come archivi nella conservazione dei vecchi titoli danneggerebbe a livello economico le compagnie, dato che nessun videogioco è considerabile obsoleto.

Risulta dunque evidente come i primi a trattare i videogiochi come prodotti commerciali da utilizzare e poi gettare siano le stesse aziende, che dovrebbero invece preservare la propria eredità. Chiaramente non sono degli enti di beneficenza ed è loro sacrosanto diritto guadagnare sui prodotti che creano, ma è impossibile pensare che compagnie come Nintendo, Electronic Arts, Activision e tante altre possano riutilizzare tutto il loro catalogo del passato, contenente migliaia di giochi, tra remastered e raccolte. Apriamo una piccola parentesi per dire che ovviamente i remake non sono da prendere in considerazione in merito all’obiettivo della preservazione storica, perché da questo punto di vista giochi come Resident Evil 4 o Final Fantasy VII Rebirth sono titoli completamente nuovi.

La VGHF sa bene, però, che quello della preservazione non è un problema che può sobbarcarsi l’industria videoludica da sola, per una questione sia di costi che di tempo, dato che sarebbe uno sforzo non da poco. Per questo auspica che si possa innanzitutto riconoscere il problema della possibile perdita futura di migliaia di titoli, cosa che al momento non sembra essere considerata, e poi instaurare un dialogo con le istituzioni culturali così da arrivare prima o poi a un accordo che permetta di salvaguardare la storia del videogioco. Allo stato attuale delle cose, però, chiunque voglia creare un database o un archivio videoludico per consultazione ha le mani legate proprio per le leggi del copyright e per l’opposizione delle varie aziende coinvolte.

Come affermato in un'intervista da Michael Pennington, curatore del National Videogame Museum di Sheffield: “Sarebbe praticamente impossibile raccontare la storia di fine ventesimo e inizio ventunesimo secolo senza discutere dell’impatto sociologico, culturale, economico e tecnologico dei videogiochi. È vitale che le generazioni future di sviluppatori e professionisti di questo settore abbiano accesso al materiale storico di riferimento sullo sviluppo dei videogiochi”.

Al momento il medium videoludico è considerato ancora giovane da molte istituzioni, ma è inevitabile che in futuro diventi sempre più importante e amato da un pubblico che, di generazione in generazione, crescerà considerandolo come la sua principale forma d’intrattenimento. Essendo dunque una forma d’arte e d’espressione dell’uomo, come lo sono il cinema, la musica o la letteratura, è importante che la storia di questo medium non finisca nell’oblio e che sia possibile per chiunque in futuro studiarlo e capirlo in tutte le sue moltissime forme, considerabili come rappresentazioni e testimonianze della creatività umana nel corso del tempo.